Costruire l'ospedale del futuro
A Milano, nell’area che era dell’Expo, è quasi pronta una
nuova struttura che curerà i malati tra comfort e il meglio offerto dalla
tecnologia. Il nuovo Galeazzi sarà un centro d’eccellenza per la salute capace
di unire assistenza, formazione, ricerca e sostenibilità. Panorama ha
visitato in esclusiva il cantiere per vedere quello che ci riserva la sanità di
domani.
A vederlo così, con la pulizia squadrata delle sue linee
avanguardiste, tra il rimbalzo dei riflessi sulle sue larghe vetrate, sembra
qualcos’altro: un museo d’arte contemporanea, imponente e ambizioso, anzi il
prototipo di una cittadella di domani.
Suggestioni inevitabili, per niente fuori fuoco: il nuovo
Galeazzi, svettante al posto del padiglione del Brasile nell’area che fu
dell’Expo, oggi sede del «Mind» (Milano innovation district), è quanto di più
si avvicina al modello compiuto, ormai quasi pronto, dell’ospedale del futuro.
Nuovo perché accoglierà i reparti del vecchio, omonimo Irccs Istituto
Ortopedico, il primo in Italia per protesi impiantate. Inoltre, assorbirà le
attività dell’Istituto Clinico Sant’Ambrogio, un riferimento per il trattamento
delle patologie cardiovascolari. Diventerà un centro d’eccellenza a tutto
tondo, in grado di offrire dal pronto soccorso alle analisi più complesse e
agli interventi più delicati; dai ricoveri in convenzione con il sistema
sanitario a quelli a pagamento. Il tutto in uno spazio che tutela la salute,
ristabilisce il benessere, punta sulla sostenibilità, l’innovazione,
l’attenzione a mettere il paziente al primo posto. Coniuga assistenza, ricerca,
formazione.
Frutto di un investimento complessivo di circa mezzo
miliardo di euro, costruito a passo spedito (in tre anni e mezzo, contro la
media europea di dieci per strutture analoghe), sarà inaugurato a settembre.
Potrà contare su 600 posti letto distribuiti su 7 dei 16 piani totali disposti
su un’altezza di 94 metri, all’interno di un’area da 50 mila metri quadri: 20
mila dedicati all’edificio, i restanti ai parcheggi e al verde che rianimerà
un’area appassita dopo l’esposizione universale.
Panorama è stato il primo giornale a visitare in
esclusiva le fasi conclusive del cantiere, che ha coinvolto in media 650
persone. A percorrere corridoi che pensionano il concetto dei padiglioni
dispersivi e labirintici: il nosocomio si sviluppa in altezza, così passare da
un reparto all’altro è semplice e veloce. Ospita macchinari di ultima
generazione, che forniscono referti precisi in tempi rapidi, snellendo le
attese snervanti, archiviando in automatico i campioni qualora sia necessario
ripetere un esame, recapitandone i risultati su smartphone e computer.
Le sale operatorie, 32 in tutto, montano lo stato dell’arte
che la tecnologia può offrire a livello internazionale, più alcune spigolature
di sapore fantascientifico: tablet di controllo e luci dai colori regolabili
per permettere ai chirurghi di scorgere meglio gli organi e i dettagli su cui
stanno lavorando. Cromie cangianti che ritornano sulle vernici usate per le
pareti: più accese nelle zone ultramoderne dedicate alla terapia intensiva, per
tenere desti i presenti; chete e rilassanti nelle aree in cui il riposo è già
un tassello della cura.
Le stanze per i degenti hanno letti connessi, poltrone,
divanetti e servizi completi (doppi gli ambienti e i bagni nelle suite), più un
prezioso patrimonio intangibile: un’aria salubre rinnovata in media, in
automatico, ogni 20 minuti. Un meccanismo ciclico, virtuoso, per togliere di
torno virus, batteri e altre microscopiche, insidiose presenze. Il panorama
sullo sfondo vale come benefit supplementare: dalle finestre, nelle giornate
terse, si scorgono le montagne, mentre lo skyline di Milano con i suoi
grattacieli luccica dopo il tramonto.
Il nuovo Galeazzi è uno dei 19 ospedali del Gruppo San
Donato. Da sempre di proprietà della famiglia Rotelli, tesse una storia che
parte da Luigi, con il primo nosocomio aperto a Pavia nel 1957, per passare il
testimone al figlio Giuseppe, mancato nel 2013. Oggi al comando ci sono i suoi
eredi: Paolo, il figlio maggiore, è vicepresidente. Carica che condivide con
Kamel Ghribi, il finanziere che da qualche anno affianca la famiglia e la sta
supportando nella traiettoria di allargamento all’estero intrapresa dal gruppo
(si vedi il box a destra).
Salendo e scendendo dagli ascensori s’incontrano i bar,
l’area ristorazione, la farmacia, le varie istantanee di un ecosistema che
nasce. Ecco la parte riservata alla ricerca, agli studenti, all’università, con
un auditorium da 440 posti, le vetrate enormi per esaltare la luce naturale, su
una parete le nicchie per gli schermi giganti al posto delle lavagne. Fino, più
avanti, al bunker della radioterapia, isolato e rafforzato con imponenti strati
di cemento, per tenere le radiazioni confinate al suo interno.
Il cuore dell’ospedale batte dietro le quinte, nelle aree
vietate al pubblico, dove si vigila che l’orchestra suoni senza stonature. C’è
la sala di controllo che raccoglie il segnale di 600 telecamere; il cervellone
per tenere d’occhio la salute degli impianti, per ripararli in tempo, prima che
si guastino: anche per loro, cure e prevenzione sono evolute. L’alimentazione
vanta vari livelli di scorta: può saltare la corrente, a lungo, ma il Galeazzi
continuerà a funzionare. Gli ingegneri lo hanno pensato a prova di catastrofe,
prevedendo persino un piano dove far confluire i malati qualora serva evacuarli
per risolvere un’emergenza.
Le squadre hanno lavorato con coesione ed entusiasmo: «Ce lo
siamo cresciuti noi» si sente ripetere più volte esplorando il cantiere con il
casco in testa, il giubbotto catarifrangente sulla vita, le scarpe da lavoro
strette ai piedi. Veniamo scortati in cima, sul terrazzo, dove risplende un
tappeto di moduli fotovoltaici: assieme a tecniche quali il teleriscaldamento,
la cogenerazione, la geotermia, i gruppi frigoriferi e le pompe di calore,
contribuiscono a rendere l’ospedale sostenibile. Uno sforzo che è valso la
certificazione Leed Gold, tra i più ambiti ed elevati standard a livello
internazionale per sancire la ridotta impronta ambientale di un edificio. Un
approccio che si rinnova nell’isola ecologica, dove i rifiuti vengono differenziati,
riciclati, potranno essere usati per diventare altri flussi d’elettricità. In
generale, tutta quella che servirà ad alimentare la struttura arriverà da fonti
rinnovabili, scorrerà in 2.350 chilometri di cavi, accenderà 25 mila lampadine
a Led, affiancherà 273 chilometri di tubazioni.
L’ospedale, con la sua sovrabbondanza di primati e record, ha anche definito cosa non vuole essere: una cattedrale nel deserto. Nelle immediate vicinanze metterà a disposizione 350 posti auto, altri 850 verranno ricavati poco distante, in un’area collegata da una navetta elettrica che farà la spola dalla vicina metropolitana. Ci sarà una pista ciclabile e un collegamento diretto pedonale. Non mancherà il movimento. Il nuovo Galeazzi sarà lì, pronto ad accoglierlo.